Aethina Tumida: Cos’è, Come Riconoscerla, Cosa Fare

    Aethina tumida Murray, conosciuto anche come piccolo coleottero dell’alveare (Small Hive Beetle, SHB), è un parassita dell’alveare che dà origine a una particolare malattia, l’Aethiniosi, che deve essere obbligatoriamente denunciata. Questo parassita proviene dal Sudafrica e in alcune zone del cont
    Aethina Tumida: Cos’è, Come Riconoscerla, Cosa Fare

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    Aethina Tumida: Cos’è, Come Riconoscerla, Cosa Fare

    Aethina tumida Murray, conosciuto anche come piccolo coleottero dell’alveare (Small Hive Beetle, SHB), è un parassita dell’alveare che dà origine a una particolare malattia, l’Aethiniosi, che deve essere obbligatoriamente denunciata. Questo parassita proviene dal Sudafrica e in alcune zone del continente africano coesiste senza particolari problemi con Apis mellifera scutellata e Apis mellifera capensis. Quest’ultima sembra infatti aver sviluppato un atteggiamento particolarmente aggressivo nei confronti del parassita, che riesce ad avere la meglio sull’alveare solo quando questo è già debole e in cattive condizioni. Il problema nasce quando l’Aethina tumida fa la sua comparsa al di fuori del suo “habitat naturale”. Nel 1996 è stato individuato negli Stati Uniti. Dopo due anni, aveva già creato notevoli danni in Florida, quantificati a circa 3 milioni di dollari. Da lì si è poi diffuso in tutti gli Stati Uniti, in Egitto, Australia e Canada. Nel 2004 è stato individuato in Portogallo, la prima segnalazione avvenuta in Europa. In Italia, fa la sua comparsa nel 2014 prima in Calabria, a Gioia Tauro, e in Sicilia, a Melilli. In seguito a questi ritrovamenti, il Ministero della Salute si è attivato per la distruzione degli alveari infetti e per il monitoraggio della diffusione del parassita tramite specifici piani di sorveglianza nazionale. Questa attività di controllo, confermata anche per il 2021, prevede controlli ciclici randomizzati e basati su calcoli specifici di rischio.

    Il ciclo biologico dell’Aethina tumida

    L’Aethina tumida è un coleottero che vive normalmente negli alveari, dove riesce a recuperare cibo e protezione dalle minacce esterne. Gli adulti sono lunghi dai 5 ai 7 mm e larghi 3-4,5 mm, di colore nero-brunastro. Vivono generalmente 4-6 mesi, svernando all’interno del glomere stesso. Si muovono da alveare ad alveare attratti dall’odore delle api e dei favi che contengono polline e covata. Una volta entrati all’interno di un nuovo alveare, le femmine iniziano a deporre le uova, che si schiudono nell’arco massimo di 6 giorni. Sono proprio le larve a creare i danni maggiori all’alveare perché, scavando la cera alla ricerca di cibo, sia esso miele, polline o covata, compromettono i favi e le feci lasciate lungo il loro percorso portano alla fermentazione del miele. Uno dei segni rivelatori della presenza del parassita, infatti, è proprio l’odore di arance marce, tipico del miele fermentato, che si diffonde all’apertura dell’arnia. Sviluppatesi fino a raggiungere le dimensioni di 11mm circa, escono dall’alveare e penetrano nel terreno per la loro successiva fase di sviluppo, che le vede trasformarsi in pupe. Dopo 3-4 settimane emergono come esemplari adulti, si accoppiano e rientrano negli alveari, ripercorrendo le varie fasi del loro sviluppo biologico. L’intero ciclo può variare da un minimo di 27 a un massimo di 84 giorni. Le condizioni perfette per lo sviluppo della pupa prevedono terreni umidi, morbidi e temperature superiori ai 10°C. Tuttavia, possono sopravvivere anche in terreni più secchi e con temperature inferiori fino a 3-4 settimane. Gli adulti possono volare fino a 10km per infestare un nuovo alveare e, senza cibo e acqua, sopravvivono fino a 9 giorni. Sui favi usati, vivono fino a 50 giorni, mentre sulla frutta anche parecchi mesi. Queste loro caratteristiche, oltre al fatto che svernano all’interno dei glomeri di apoidei, rendono molto facile una loro diffusione. Le movimentazioni di pacchi d’ape, colonie, sciami, miele in favi, cera, terra e frutta sono i principali veicoli di diffusione del parassita.

    Come riconoscere Aethina tumida

    Quali sono i segni distintivi che permettono di riconoscere questo pericoloso parassita? Soprattutto per quanto riguarda la larva, bisogna prestare particolare attenzione. A prima vista, infatti, potrebbe confondersi con le larve della tarma della cera. Si presenta infatti con il medesimo colore (crema) e dimensioni (1cm circa). I tratti distintivi sono visibili in seguito a un’osservazione più attenta. La larva di A. tumida presenta 3 lunghe zampe anteriori, delle spine lungo il dorso e due più grandi nella parte posteriore. Gli elementi peculiari che si trovano nell’adulto, invece, sono il tratto di addome lasciato scoperto dalla struttura che ricopre le ali e dalle caratteristiche antenna a clava. I danni causati alle colonie sono svariati. Già il fatto che le sottospecie europee di Apis mellifera non abbiano alcuna arma di difesa nei suoi confronti rende l’A. tumida estremamente pericoloso. Più larve si trovano all’interno dell’alveare, più il danno è maggiore. Alti livelli di infestazione portano l’interruzione dell’attività di ovodeposizione o all’abbandono dell’arnia da parte delle api o addirittura al collasso della famiglia. Ovviamente più la famiglia è debole, più viene colpita gravemente da questo parassita. Anche i favi da melario e il miele stesso sono danneggiati dalla presenza di Aethina tumida. Come è già stato detto, la presenza delle feci delle larve porta alla fermentazione del miele, che non risulta più consumabile da parte dell’uomo.

    Metodi di ricerca del parassita

    Un attento esame dall’alveare può permettere di capire se si è in presenza di un’infestazione di Aethina tumida prima che si estenda al punto tale da mettere a rischio gli alveari vicini. Attualmente, si può procedere attraverso l’analisi visiva, l’impiego di apposite trappole oppure l’invio di campioni in laboratori di analisi. L’esame visivo si basa sostanzialmente sull’ispezione interna dell’arnia, delle pareti interne, dei punti più inaccessibili, dei singoli favi da nido e del fondo estraibile della cassetta. Un altro metodo prevede il posizionamento dei melari sul coprifavo per circa un minuto. Una volta tolti, si dovrà osservare attentamente se ci sono parassiti che cercano di scappare verso il fondo, rifuggendo dalla luce. L’uso di apposite trappole può essere più utile nelle prime fasi di infestazione, quando un’ispezione visiva potrebbe non essere efficace o addirittura fallace. Una delle trappole più comuni consiste in una striscia di cartone o plastica ondulata con interstizi di 3-4 mm. Questa viene inserita sul fondo dell’arnia ed estratta periodicamente per vedere se negli spazi interni sono presenti esemplari di A. tumida. Un’altra trappola è quella conosciuta con il nome di Beetle Blaster. Essa non è altro che una vaschetta di plastica con appositi fori che permettono l’accesso solo all’A. tumida. Per ogni alveare vengono inserite due vaschette, una tra il primo e il secondo favo e l’altra tra il penultimo e l’ultimo. Sono poi riempite con aceto di vino o di mele, ma anche con olio vegetale. Queste sostanze attirano il parassita, che viene così rinchiuso nella trappola. Attualmente in Italia si procede ancora eliminando tutti gli alveari infetti o presunti tali. Per questo una corretta azione di sorveglianza e un rapido intervento in caso di infestazione è fondamentale per evitare la diffusione del pericoloso parassita. In altri paesi, come gli USA, si attuano forme di lotta chimica che prevedono l’utilizzo di insetticidi, che tuttavia possono causare episodi di farmaco-resistenza. Altra strada che si vuole percorrere è quella della bonifica del territorio circostante l’alveare. Attualmente si stanno cercando metodi che abbiano il minor impatto possibile sull’ambiente. Forme di lotta biologica studiano l’efficacia dell’impiego di nematodi, di preparati a base di funghi entomopatogeni e di alcune sostanze inorganiche. Infine, si stanno testando anche forme di lotta meccanica, che prevedono modifiche al predellino di entrata dell’arnia. Tuttavia, non si è ancora certi delle ripercussioni che possono avere sull’alveare e sulla sua produttività.

    Di Elena Fraccaro15 febbraio 2018
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